Alchimia Popolare – Leggende della terra di Maremma

anno 2013 – 30×49 cm cornice esterna – 26×40 cm quadro interno –
9 lightbox – Edizione 1/3

Il progetto è nato a seguito di una conversazione tenuta con un ragazzo di Magliano, in Toscana. Gli avevo domandato se fosse a conoscenza del luogo in cui si trova l’Ulivo della Strega, pianta effettivamente esistente.
“In questo bellissimo paesino della Maremma” – mi aveva risposto – “potevo trovare migliaia di ulivi, ma quello della strega non sapevo dove fosse”. Considerando che la leggenda dell’Ulivo della Strega è una delle più diffuse in Maremma fui enormemente meravigliato di questa mancanza da parte sua è stato allora che ho preso delle vecchie bottiglie per mandare i miei messaggi. come un naufrago, la società di oggi – lancia in mare un messaggio di aiuto, di sopravvivenza, affinché qualcuno – possa raccogliere e accogliere questa eredità fatta di leggende e di cultura popolare. Un messaggio che rischia di disperdersi di fronte alla banalità e alla stupidità della collettività di oggi.

Tecnicamente ogni quadro è composto da un lightbox, illuminando dal retro solo la parte centrale del soggetto, per far risaltare l’immagine vera e propria della leggenda. La tecnica utilizzata è quella della scansione: li oggetti raffigurati sono stati singolarmente scansionati e poi assemblati in postproduzione.

alchimia popolare (1) – L’eremita.
San Guglielmo di Malavalle, prima di ritirarsi in solitudine in una zona impervia e boscosa della Maremma, aveva avuto una vita davvero avventurosa.
Nato da nobile casata, Guglielmo, duca d’Aquitania, era stato pellegrino e crociato in Terra Santa, e a lungo aveva combattuto in nome della Fede. Difficile sondare quello che a volte accade nell’animo umano. Sta di fatto che, al culmine della fama, della gloria e del potere, il nobile Cavaliere voltò le spalle al mondo e alle sue seduzioni per approdare in Toscana. Dalla pianura paludosa di Montepescali salì sul Poggio Bruno, presso Buriano, per ritirarsi in un eremo sperduto fra i boschi. Quel luogo venne chiamato prima Stalla di Rodi, e poi Malavalle. Ma la vita di stenti e privazioni, scelta per meglio servire il Signore, non gli risparmiò le tentazioni del demonio con cui ebbe molto a lottare prima che il Maligno si rassegnasse a cedere le armi, impotente di fronte a un’anima dedita solo al bene del prossimo e all’amore di Dio. Chi conobbe Guglielmo, capì immediatamente che quell’uomo dall’aspetto signorile e austero, ma al tempo stesso modesto e cordiale, non poteva essere un eremita qualunque. Il suo carisma attirò subito molti che chiedevano consigli e preghiere. Le sue doti non comuni si manifestarono con fatti a dir poco stupefacenti e i molti prodigi che operò lo resero presto famoso in tutta la Maremma.
Il Santo, oltre alla Parola di Dio, istruì molte cose pratiche e fece conoscere, ad esempio, le incredibili doti dell’erba agrimonia, in grado di tenere lontano i serpenti e di guarire molte malattie, chiamata in seguito pianta di San Guglielmo.

alchimia popolare (2) – La croce del Cristo.
Passitea Croci, fondatrice del convento delle Clarisse di Santa Fiora, nacque a Siena il 13 settembre 1564. Il padre, Pietro, era falegname e un giorno decise di scolpire un crocefisso che, però, gli venne mal proporzionato nelle forme. Decise, dunque, di buttarlo tra i trucioli e gli spezzoni di legna che servivano per il fuoco.
Un giorno, la madre mandò Passitea a prendere un po’ di legna nella bottega del padre. La bambina sentì allora una voce sconosciuta, ma chiara e spiccatissima, che la chiamava. Si voltò verso l’angolo della bottega dove era stato abbandonato il crocefisso. Lo vide scintillante di raggi lucentissimi. Le parlò di nuovo: “Prendimi poiché io sono lo sposo tuo”. Si chinò, commossa, e prese il crocefisso che da allora non abbandonò mai. Quel crocefisso, ritenuto miracoloso e oggetto di grande devozione e culto da parte delle popolazioni locali, è oggi conservato nel Sacrario del Coro della Chiesa del Convento delle Clarisse.

alchimia popolare (3) – I pipistrelli.
Non tutte le leggende prendono spunto da fatti storici realmente accaduti, ma spesso si riferiscono a oggetti o animali realmente esistenti, talvolta mutandone il significato.
Sembra che le donne di Santa Fiora, come quelle di mille altri luoghi, ai tempi delle semplici capanne rurali, sedessero accanto al fuoco la sera, nel frattempo che il pane coceva, e s’intrattenessero a parlare di questo e di quello.
I pipistrelli se ne stavano spesso appollaiati sui soffitti e capitava che i piccoli aggrappati al pelo delle loro madri, allentando la presa, cadessero a terra.
Se proprio sotto si trovava una fanciulla dai lunghi capelli e il pipistrellino le cadeva sulla testa, questo si intrufolava nella chioma, afferrandosi saldamente e rifiutandosi di uscire.
Questo produceva il panico fra le donne e qualche volta la poverina si strappava i capelli (saga delle capigliature tagliate). Nella credenza popolare, la presenza dei pipistrelli indicherebbe il luogo di ritrovo delle streghe per consumare i loro sabba e ordire malefici.

alchimia popolare (4) – La chiave.
Pia dei Tolomei, nasce a Siena e viene uccisa da suo marito in Maremma. La fama di Pia, della famiglia dei Tolomei di Siena è dovuta essenzialmente alla citazione di Dante nel quinto canto del Purgatorio (130-136). Non è la prima volta che il sommo poeta ci informa di persone, fatti e luoghi della Toscana del Duecento.
Secondo le ricostruzioni storiche più accreditate, Pia sarebbe stata uccisa, o fatta uccidere, dal marito, anche se non si è sicuri del movente. Coloro che attribuiscono la sua morte a un delitto di gelosia, si dividono fra chi la ritiene infondata e quelli che asseriscono fosse basata su un reale tradimento; altri assolvono senz’altro la Pia, e condannano l’uomo, spregevole e crudele, che potrebbe averla uccisa per contrarre un secondo e più vantaggioso matrimonio con Margherita Aldobrandeschi. Nella Comedìa dantesca, Pia riferisce i fatti, ma non chiede vendetta. La sua è una storia in cui verità e leggenda si confondono. Secondo una versione, Pia avrebbe sposato in prime nozze un certo Baldo de’ Tolomei, da cui avrebbe avuto due figli. Rimasta vedova, si sarebbe risposata con Paganello Inghiramo (Nello) dei Pannocchieschi. Su un fatto tutti concordano: Pia sarebbe morta in Maremma, nel castello di Pietra, oggi territorio comunale di Gavorrano. Questa figura di donna ha un potere suggestivo molto grande, soprattutto nei luoghi in cui si svolse la sua vicenda.
Il suo nome è rievocato anche in alcuni toponimi: ad esempio c’è un ponte, dal quale si vede il castello in cui terminò la sua esistenza, che si chiama “ponte della Pia”.

alchimia popolare (5) – Gli aghi del ginepro.
Le streghe che vivevano al castello, per vendicarsi dell’affronto subito dagli abitanti di Santa Fiora, si trasformarono in gatti e cominciarono ad andare, di notte, ad intricare le code e le criniere dei cavalli nelle stalle. Per questo, chi avesse un cavallo nella stalla usava mettere alla porta un rametto di ginepro. Secondo la credenza popolare, infatti, le streghe trovano irresistibile mettersi a contare ciò che di più piccolo e numeroso incontrano nel loro cammino e, mettendosi a contare i rametti e gli aghi del ginepro, si sarebbero attardate fino allo spuntar del sole.

alchimia popolare (6) – Il lume.
Un’antica tradizione vuole che in molti paesi del territorio della nostra Provincia, nella notte fra il primo e il due novembre, nelle case si tenga acceso un lume.
In quel di Saturnia questa usanza affonda le radici in un evento a dir poco straordinario in cui, suo malgrado, si trovò coinvolto un agricoltore di Poggio Capanne.
La mattina del due novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, l’uomo era uscito di casa, come sempre molto presto, quando faceva ancora buio, per recarsi in campagna ad accudire il bestiame. Ben coperto per ripararsi da un’aria gelida e pungente, camminava di buona lena. Quella strada gli era tanto familiare che anche al buio sapeva dove mettere i piedi e si può dire che conoscesse a menadito ogni metro del percorso da fare. All’improvviso, presso il vecchio cimitero, una strana visione fermò i suoi passi e per un attimo l’uomo si chiese se fosse desto o sognasse. Dall’interno del camposanto, attraverso le inferriate che sbarravano l’ingresso, usciva una fluida processione di “creature” in vesti bianche, eteree, irreali.
Avanzavano in religioso silenzio e si dirigevano verso il paese. Pare incredibile, ma
l’uomo non si spaventò affatto anzi, incuriosito, tenendosi a dovuta distanza, seguì la misteriosa processione. Giunte in paese, una ad una quelle “creature” lasciavano la fila per entrare in questa o in quella casa attraverso le porte, chiuse come Dio comanda. Si fermavano un po’, quindi uscivano e si ricongiungevano alle altre. La bianca fila avanzò per le strade, sempre in assoluto silenzio, e ogni casa ebbe la sua visita. L’ultima tappa fu la chiesa del paese. Nonostante il portone fosse ben chiuso, tutte le candide figure lo attraversarono ed entrarono in chiesa. Poco dopo uscirono, fecero la via a ritroso e tornarono al cimitero.
Da allora nacque l’usanza di accendere in tutte le case un lume nella notte dei morti. Un segno di buona accoglienza per quelle creature che nella credenza popolare furono da subito riconosciute come le anime dei defunti lì vissuti.
Sicuramente legata a questa storia, fino a pochi anni fa vigeva l’usanza di celebrare la messa del due novembre prima del sorgere del sole. Da questo misterioso evento è nato anche un piatto tipico della zona: gli Stinchi di morto, dolci gustosi preparati con vino bianco, miele e noci tritate.

alchimia popolare (7) – Le ossa delle mani.
San Galgano, il cui vero nome è Galgano Guidotti, nacque nel 1148 a Chiusdino da una famiglia di piccola nobiltà locale, e morì il 3 dicembre 1181. Galgano visse la fanciullezza da cavaliere libertino e dedito ai divertimenti più sfrenati, finché qualcosa lo indusse a cambiare vita, trasformandolo in un vero e proprio Santo Cavaliere di Dio.
Accadde che, un giorno, mentre viaggiava verso una giornata dedicata a lussuria e gozzoviglie, ebbe improvvisamente la visione dell’Arcangelo Michele.
L’Arcangelo gli si manifestò innanzi e lo invitò a seguirlo. Galgano, accettato l’invito e attraversati un ponte e un prato fiorito, raggiunse Monte Siepi, dove si trovò dinnanzi a un edificio rotondo (probabilmente una visione di un edificio, dato che l’eremo fu costruito dopo la sua morte) e ai dodici apostoli. Venne da loro accolto e, aprendo un libro sacro, gli apparve il Creatore che lo convertì definitivamente. Monte Siepi era un luogo sacro e, come tale, meritava un’identità, una croce. Galgano cercò del legname per costruirla ma, non trovandone, decise prendere la propria spada e conficcarla nella roccia, apparendo così una croce perfetta a chiunque la guardasse. Inoltre, prese il proprio mantello e lo indossò come saio. A quel punto Galgano diede inizio alla sua autentica vita da eremita tra quei boschi, nutrendosi solo di erbe selvatiche. Durante una sua assenza per un pellegrinaggio a Roma, la spada subì un tentativo di furto e venne forzata da tre ladri che, non riuscendo nell’intento di sfilarla, la ruppero e l’abbandonarono (la spada è infatti realmente spezzata). Il castigo divino non perdonò l’atroce misfatto e, raggiungendoli, uno venne fulminato all’istante, un altro morì annegato, mentre il terzo venne aggredito da un lupo che gli tranciò entrambe le mani (nell’eremo, in una bacheca è possibile vedere le ossa delle mani del ladro), ma venne risparmiato all’ultimo momento perché, pentito, invocò il perdono di Galgano.

alchimia popolare (8) – L’Olivo della Strega.
Il nome di “Olivo della Strega” vede questo albero protagonista di una serie di leggende che si rifanno agli albori del cristianesimo, quando attorno alla pianta venivano celebrate feste campestri in onore delle divinità silvane ancora venerate dai pagani. Altri racconti fanno risalire il nome al Medioevo, asserendo che sotto l’olivo di Magliano avveniva la riunione di tutte le streghe della Maremma. La festa, alla quale partecipavano anche fauni e centauri, per tradizione si svolgeva la notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, data che è tradizionalmente legata ai riti pagani del Solstizio d’estate.
La leggenda più diffusa narra di una strega che ogni venerdì, durante i suoi riti sabbatici, danzava intorno all’albero, costringendo così la pianta a contorcersi fino ad assumere le forme attuali. Al termine del rito la strega si trasformava in un enorme gatto dagli occhi infuocati e rimaneva a vegliare l’albero tutta la notte. Altre versioni della storia narrano dell’albero che raddoppiava le dimensioni e via fantasticando. Addirittura altri racconti popolari riportano che nello stesso uliveto esisteva un’altra pianta che, grazie ad un miracolo, produceva fagioli, o fave, invece delle olive.
Al di là delle storie di streghe, resta emozionante trovarsi al cospetto di questo albero millenario circondato da altri vecchi ulivi, tra i quali è riconoscibile, oltre che per le dimensioni, anche per una recinzione che lo protegge dai numerosi visitatori, alcuni dei quali avevano il vandalico vizio di asportarne qualche rametto come ricordo della visita.

alchimia popolare (9) – La serpe vaccaio.
Anche in Maremma, come in tutta la Toscana ci sono le fonti lattaie dove le puerpere che non hanno latte vanno a bere, poiché si pensa che quelle acque siano miracolose e come dalla roccia sgorga l’acqua, così dai seni possa sgorgare il latte. Con il passare del tempo, le sorgenti furono protette da immagini sacre e toccò alla Madonna (la Madonna del Latte), a Sant’Agata o a Santa Caterina d’Alessandria proteggere le nutrici e il loro prezioso alimento.
A Gerfalco, si andava alla fonte portando un pegno: “Ho portato un pegno per avere il latte per allattare il figlio”, oppure un’offerta votiva alla sorgente per la grazia ricevuta. Inoltre, bisognava rispettare un preciso cerimoniale e non tornare mai per la strada per la quale si era arrivate.
Tuttavia, a volte sembrava che il latte non fosse sufficiente, e gli effetti potevano essere i più diversi.
Così, ad esempio, una donna continuava ad allattare il proprio piccolo ma, pur avendo latte, questi continuava a deperire.
Era un’estate torrida e la campagna infuocata si estendeva davanti al misero podere. La donna era al pianterreno con la finestra aperta. Il marito, tornato un po’ prima dal lavoro dei campi per la grande calura, vide la moglie addormentata, abbandonata, con il bambino in collo e il seno scoperto: una serpe vaccaio, che si era subdolamente introdotta in camera, aveva infilato la coda in bocca al bambino perché non piangesse, e succhiava, al suo posto, il latte dal seno della donna.

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